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Fusione per incorporazione, le sezioni unite risolvono il contrasto. Mani legate all’incorporata.

La fusione per incorporazione estingue la società incorporata, la quale non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, avendo facoltà della società incorporante di spiegare intervento in corso di causa, ai sensi dell’art. 105 cpc, nel rispetto delle regole che lo disciplinano.

E’ il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 21970 del 30.7.2021 nell’ambito di un contenzioso promosso da una società per l’accertamento della simulazione o, in subordine, la revoca ex art. 2901 cc di due successivi contratti di compravendita aventi ad oggetto il medesimo immobile. I giudici di merito avevano accolto la domanda di simulazione assoluta sul presupposto che l’atto introduttivo del giudizio non fosse inesistente e/o nullo nonostante la società attrice fosse stata cancellata dal registro delle imprese il 23.7.2004 a seguito della fusione per incorporazione. In particolare, per la Corte d’appello di Cagliari non solo i) la fusione aveva comportato ex art. 2504-bis cc una mera vicenda evolutivo-modificativa del medesimo soggetto, che permaneva e conservava la propria identità, pur in un diverso assetto organizzativo, ma ii) l’incorporante si era comunque costituita nel 2011 innanzi al Tribunale, ratificando l’operato dell’amministratrice della incorporata, con efficacia sanante degli atti compiuti dal falsus procurator. Proposta impugnazione, la causa veniva rimessa al Primo Presidente con decreto del 25 settembre 2020 essendosi riscontrato un contrasto di giurisprudenza con riguardo alla legittimazione processuale della società incorporata cancellata dal registro delle imprese.

Le SU hanno rigettato il ricorso e, a risoluzione del contrasto interpretativo, hanno affermato che la fusione per incorporazione estingue la società incorporata, che difetta della capacità e della legittimazione processuale per fare valere i diritti relativi ai rapporti giuridici che si sono trasferiti in capo all’incorporante o risultante dalla fusione. Nel caso in cui, proseguono gli Ermellini, l’incorporata estinta abbia comunque intrapreso un giudizio, l’incorporante può intervenire in quanto soggetto interessato a far valere un proprio diritto nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse, indipendentemente dall’effettiva esistenza, in capo al soggetto che ha inizialmente proposto la domanda giudiziale, delle condizioni necessarie al relativo esercizio. Dall’ultima delle iscrizioni previste dall’art. 2504 cc, infatti, si verificano gli effetti dell’estinzione e della successione a titolo universale, corrispondente alla successione mortis causa: si realizza cioè la sostituzione all’incorporata dell’incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alla prima. “La prosecuzione dei rapporti giuridici nel soggetto unificato”, afferma la Corte in punto di legittimazione processuale, “fonda la legittimazione attiva dell’incorporante ad agire e proseguire nella tutela dei diritti e la sua legittimazione passiva a subire e difendersi avverso le pretese altrui, con riguardo ai rapporti originariamente facenti capo alla società incorporata; viceversa quest’ultima, non mantenendo la propria soggettività dopo l’avvenuta fusione e la cancellazione dal registro delle imprese, neppure vanta una propria autonoma legittimazione processuale attiva o passiva”.

Nell’ipotesi in cui la fusione intervenga in corso di causa, il processo non deve essere interrotto perché, anche se l’incorporata, fusa o scissa non è più esistente, in ossequio alla ratio degli artt. 299 ss. cpc, l’incorporante è divenuta titolare di quel rapporto sostanziale e del corrispondente c.d. rapporto processuale, cioè del giudizio che lo abbia ad oggetto.  “Se l’istituto dell’interruzione del processo mira a tutelare sia la parte colpita dall’evento interruttivo, sia la controparte”, chiariscono le SU, “ai fini della migliore esplicazione del diritto di difesa di entrambe (art. 24 Cost.), tale esigenza non si avverte o, in ogni caso, è ex lege recessiva a fronte della superiore esigenza di continuità nei rapporti sostanziali e processuali, a fini di certezza”: l’incorporante che intenda compiere atti processuali dovrà soltanto provare la sua qualità ai fini della legittimazione.

Il soggetto estinto per fusione, viceversa, non ha la facoltà di intraprendere un giudizio, non essendo soggetto di diritti e non avendo neppure la capacità e la legittimazione processuale per farli valere. Una volta che il contenzioso sia stato instaurato dal non legittimato, per far valere un diritto proprio nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse e che sussiste indipendentemente dall’effettiva esistenza, nel soggetto che ha inizialmente proposto la domanda giudiziale, delle condizioni necessarie all’esperimento di essa, non trova applicazione l’istituto della ratifica degli atti compiuti dal falsus procurator. Non è tale il rappresentante, ma diverso è l’effettivo titolare del diritto: a quest’ultimo è riservata la facoltà di intervenire in giudizio e sostituirsi volontariamente ex art. 105 cpc, rilasciando mandato al difensore ai fini del conferimento dello ius postulandi secondo le regole generali di cui agli artt. 82 ss. cpc.

Avv. Paola Cavallero
Senior Associate - Studio Mainini&Associati
@milanofinanza