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Recentemente, la Corte

Tribunale responsabilità enti

Responsabilità amministrativa degli enti, la culpa in vigilando

Culpa in vigilando e responsabilità dell’ente per i reati dei sottoposti

Nel caso di un dipendente di una società che produce e distribuisce materiale sanitario, che, in concorso con un agente di commercio ha raggiunto un accordo segreto con il direttore di una struttura sanitaria pubblica per favorire l’acquisto di materiale sanitario prodotto dalla società a fronte del riconoscimento di un vantaggio economico personale diretto e indiretto.

Per il Tribunale di Milano la responsabilità dell’ente per i reati commessi dai soggetti sottoposti alla vigilanza di quelli in posizione apicale è riconducibile alla culpa in vigilando, come disposto nella recente sentenza 3314/2023.

Questa responsabilità può essere anche impersonale e quindi riferita all’organizzazione nel suo complesso, non necessariamente a persone fisiche individuate.

La S.p.A. condannata per il reato di corruzione dei sottoposti 

Per l’autorità giudiziaria milanese la nota società per azioni del settore medicale è responsabile sotto il profilo amministrativo per i fatti contestati che realizzano il reato presupposto di corruzione aggravata.

Il Tribunale ha contestato alla società l’illecito amministrativo riconducibile alla violazione dell’articolo 5 comma 1, lettera b), dell’articolo 7 e dell’articolo 25 comma 2 del decreto legislativo n. 231/2001 per avere adottato un modello organizzativo inefficace a prevenire la corruzione.

Le norme infatti prevedono la responsabilità amministrativa dell’ente per tutta una serie di reati, definiti reati presupposto. Gli illeciti penali, per condurre alla responsabilità della persona giuridica, devono essere commessi nell’interesse o a vantaggio della stessa da persone che ricoprono funzioni apicali o da persone sottoposte alla sorveglianza dei primi.

In questo caso, la società ha subito la condanna per due precise ragioni:

  • il modello organizzativo adottato per scongiurarne la commissione di reati da parte dei soggetti interni è risultato inidoneo, inefficace a prevenire il reato di corruzione;
  • le condotte penali dei due sottoposti hanno procurato alla società dei vantaggi anche di tipo economico.

La giurisprudenza sulla responsabilità dell’ente per le condotte dei sottoposti

Il Tribunale evidenzia che vi sia scarsa giurisprudenza su questa materia.

Sono pochi i casi in cui una autorità amministrativa ha dovuto occuparsi dei casi in cui a commettere i reati presupposto che conducono alla responsabilità dell’ente sono persone sottoposte alla sorveglianza di altri funzionari che si trovano in posizione apicale nei ranghi sociali.

Il decreto legislativo n. 231/2001 prevede infatti che l’ente o la società possano essere anche esenti da  da responsabilità per fatti commessi da dirigenti o da loro sottoposti; l’ente o la società devono però dimostrare aver adottato un modello di organizzazione capace di prevenire il reato che è stato commesso.

In questo caso l’ipotesi non si è realizzata. La società ha, secondo il Tribunale di Milano, adottato un modello di organizzazione e gestione (MOG), che si è rivelato imperfetto e inadatto allo scopo.

Quando dunque ricorre la responsabilità dell’ente se a commettere il reato è una persona sottoposta alla vigilanza di un dirigente in posizione apicale?

Il modello di organizzazione è unitario e non obbligatorio

Sulla responsabilità degli enti e il modello di organizzazione e gestione il Tribunale chiarisce in premessa che il sistema previsto dal decreto legislativo n. 231/2001 non sia obbligatorio ma fornisca un’opportunità.

Il comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 231/2001 dispone che, quando i reati sono stati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di un dirigente che ricopre una posizione apicale, l’ente o la società sono responsabili solo «se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza».

Non conta che ci sia o meno un modello di organizzazione e gestione, gli obblighi di direzione e di vigilanza devono essere rispettati comunque. Se il modello è stato adottato, come in questo caso, allora le attività di direzione e di vigilanza saranno incorporate nel modello stesso.

L’articolo 7 infatti, al comma 2, prevede l’esclusione della inosservanza degli obblighi di vigilanza e di direzione se l’ente ha adottato e attuato in modo efficace un modello di organizzazione in grado di prevenire il reato, prima della sua commissione.

Il modello diventa così l’oggetto principale di valutazione per accertare la responsabilità dell’ente e poiché il modello in questo caso non è riuscito a prevenire il reato di corruzione, la società è stata dichiarata responsabile.

Culpa in vigilando impersonale riferita all’organizzazione

Il Tribunale conclude affermando che la culpa in vigilando, che collega la responsabilità dell’ente alle condotte criminali dei sottoposti, non deve essere attribuita per forza a una persona fisica.

Essa è piuttosto una colpa impersonale che si riferisce all’organizzazione nel suo complesso, anche se non si possono escludere a priori condotte inadeguate dei soggetti incaricati di vigilare i sottoposti.


Lo Studio Mainini si occupa da anni del diritto penale societario e della responsabilità amministrativa delle aziende.